Vientiane; su quale sponda la felicità?
Viaggio in sud est asiatico – Sei mesi alla ricerca della felicità – Episodio 2 –
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Arrivato a Vientiane, la capitale del Laos, l’impressione è subito quella di una Parigi in miniatura.
Ovviamente niente Tour Eiffel e niente Champs Elysées; solo un sottile profumo di croissant che mi fa presumere una specie di Europa a portata di mano, un vecchio continente privo di caos e di inquinamento; qualcosa di diverso, ma al tempo stesso riconoscibile e familiare.
Se chiudi gli occhi Vientiane sembra la Francia; certi locali copiano – e lo fanno piuttosto bene – lo stile di quei vecchi bistrot che fanno di Parigi una delle città più affascinanti al mondo.
Il Laos, antica colonia francese. Viaggio in sud est asiatico
Il Laos profuma di Francia, di vecchie cittadine abbarbicate sugli splendidi promontori della Savoia, di province dove la gente beve vino rosso e pastis mentre legge quotidiani e riviste, senza fretta e senza presunzione, salutando amici e conoscenti con calorose strette di mano che ti fanno sentire a casa anche se sei straniero.
Vecchio retaggio di vecchie storie incollate alla pelle del paese più buddista del mondo.
Una piccola Francia inserita nel cuore dell’immensa Asia; Vientiane, l’unica capitale a misura d’uomo di tutto il sud est asiatico; piccola, delicata, quasi impreparata al mondo “là fuori”, è diversa da tutto ciò che un viaggiatore esperto abbia potuto vedere in tutta la sua vita.
Vientiane non sembra Asia; non esiste caos, non esistono venditori di oggetti strampalati e fasulli, ma non è nemmeno uguale a quell’Europa così stanca dei suoi politicanti e divenuta forse troppo vecchia per essere davvero felice.
Vientiane è Vientiane e la sua gente, la più buona e ospitale del mondo, è lì a dimostrare la sua straordinaria unicità.

Viaggio in sud est asiatico. Episodio 2. Zingaro di Macondo.
Quella dominazione francese mai del tutto sopita, mai del tutto dimenticata, ma nemmeno odiata con quei rigurgiti nazionalisti che altrove fanno danni enormi, è rintracciabile nelle piccole librerie dove si parla un francese un po’ storpiato, nei piccoli locali così fuori posto che vedere dietro al bancone quelle specie di contro figure di baguette ti fa sorridere e credere di essere dentro una barzelletta dell’assurdo.
Il Laos è totalmente, assolutamente incapace di provare odio.
Ovunque vedo splendidi sorrisi.
Inizialmente pensavo fossero rivolti soltanto a me, immaginando nella mia pelle o nei miei modi un qualcosa di sensibilmente diverso agli occhi divertiti degli indigeni. Ma in realtà il loro non era divertimento, era gentilezza alla quale cercavo di dare una forma non essendo abituato ai sorrisi gratuiti.
A casa mia i sorrisi si pagano e se qualcuno ti mostra i denti è sempre per sbranarti, in un modo o nell’altro.
Il paese del sorriso
Poi, lentamente, mi sono reso conto che in realtà il Laos è il paese dei sorrisi.
L’arma più letale che ci sia contro le guerre, contro l’odio, contro le ingiustizie e contro le prevaricazioni.
Tra qualche settimana passerò 40 giorni e 40 notti in un monastero buddista, ma ancora non so dell’incontro che cambierà la mia vita convincendomi a pensare di più e a fare di meno.
Al momento percepisco solamente un lento e inesorabile cambiamento interno, come se la mia anima si stesse purificando di tossine spirituali frutti di cose che qui sono sostituite da un candore primigenio, come se questo popolo fosse nato da pochissimo e non avesse ancora avuto modo di reagire alle brutture del mondo. Brutture che comunque ha subito, ad esempio con il napalm americano e le idiote colonizzazioni europee.
Su quale sponda la felicità? Viaggio in sud est asiatico
Accoccolato in una delle sedie a sdraio dei localini che danno sulla riva sinistra del Mekong, penso a Tiziano Terzani e penso ai suoi pensieri.
Anche lui si era trovato in quella predisposizione mentale nella quale mi trovo io in questo momento, anche lui, osservando quella medesima riva fluviale, stendendo lo sguardo oltre la riva destra del Mekomg, laddove cioè comincia la Thailandia, aveva pensato “su quale riva riposasse la felicità”.
Il Mekong fa da confine naturale tra la Thailandia e il Laos.
Dalla parte opposta vedo Chang Mai, la turistica, affollata, vagamente superba Chang Mai. Qualche grattacielo e molti clacson irrispettosi dei confini nazionali.
Il silenzio del Laos viene disturbato dai rumori thailandesi, attraversando l’aria immobile e il tramonto di questa sera, altrimenti così serena e pacata e gentile.
Due nazioni così diverse, così sfacciatamente lontane sociologicamente l’una dall’altra, quanto vicine dal punto di vista spaziale.
La Thailandia ha da tempo abbracciato il cosiddetto capitalismo, mentre il Laos, privo di grattacieli, smog, aziende e produzioni massive, è ormai l’unico avamposto asiatico, gioiello puro e indefinito che molti vedono minacciato dal “ponte dell’amicizia”, un ponte che sovrasta il maestoso Mekong unendo – come un’arteria unirebbe due corpi diversi – due nazioni tanto lontane quanto vicine.
E allora, sorseggiando il mio cocktail dal nome americano, seduto in riva a questo meraviglioso Mekong colorato dal tramonto più dolce e rosso e spirituale che possa immaginare, fissando i grattacieli thailandesi che spuntano turgidi da una terra millenaria e contradditoria, pure io mi chiedo:
su quale sponda la felicità?
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