TRANSIBERIANA. UNA BABUSKA PER AMICA

 

La Transiberiana non conosce momenti.

Non conosce gli attimi, le frazioni, i secondi.

La Transiberiana non sa cosa sia la velocità; conosce solo giorni e notti, lunghissime ore e treni lenti come giganteschi lumaconi.

Prima di arrivare a Novosibirsk, capitale della Siberia, mi attendono 24 ore di viaggio.

Sono al quarto treno della mia personale Transiberiana, non sono più il novizio che venti giorni fa si guardava in giro spaesato.

Faccio subito scattare la brandina verso l’alto premendo quella leva maledetta che tanto mi aveva fatto penare sul primo treno, dopo di che ficco lo zaino sotto e riposiziono la branda al suo posto.

Ecco fatto: ci voleva tanto?

Per farmi il letto c’è tempo: è l’una del pomeriggio.

Piccole stazioni, un binario, poche cose

 

Dopo poche ore ci fermiamo in una stazione nebbiosa.

Immagino un villaggio che non vedo.

 

transiberiana-zingaro di macondo

Zingaro di Macondo

 

Ci saranno otto anziani e due coppie di contadini, una cosa di questo genere. Oppure delle oche spennacchiate, alcuni cani resi aggressivi dalle gelate e uomini e donne che parlano un dialetto incomprensibile.

Cerco oltre le transenne arrugginite, ma non ci sono tracce di case, di vita, solo una manciata di persone lungo la banchina che sale lenta, tutti vestiti di pesanti giacche e pelosi colbacchi. Sembrano tristi, ma probabilmente è solo l’andatura strascicata a farmelo presumere.

A parte una decina di grandi città, costruite dagli Zar e dall’Impero Sovietico al fine di ammassare operai e galeotti, lungo la Transiberiana non esistono paesi, città, cittadine, solo qualche minuscolo villaggio che ogni tanto appare nel mezzo delle infinite foreste di conifere.

 

transiberiana-zingaro di macondo

 

E quelle manciate di case sembrano le timide rivendicazioni dell’essere umano: esisto anche qui.

Piccoli proclami appena accennati, qui nulla e nessuno urla, come se anche la minima diatriba potesse peggiorare il freddo cane da patire giorno e notte.

Le babuske

 

babuska-zingaro di macondo

La signora che mi ha accompagnato per qualche ora lungo la mia Transiberiana. Zingaro di Macondo.

 

Sale una signora anziana con un paio di occhiali tondi e spessi da sembrare un cartone animato. Sul petto un grosso fiore bianco di plastica.

Si siede di fronte a me con una borsa di tela tra le mani.

Quanto sei bella, amica mia. Da dove vieni? Dove abiti tu fa sempre freddo? Ti capita di uscire con una semplice maglietta? Ti accendi il fuoco da sola o c’è qualcuno che ti aiuta?

Alza il braccio teso con la mano aperta e il palmo all’ingiù; un gesto che, non senza un piccolo brivido, mi riporta alla mente vecchi filmati di nazisti adoranti, ma evidentemente per lei non ha niente di politico. Quel modo di salutare stride con la sua figura esile, gentile, non ha nulla a che vedere con l’immagine di una babuska che vive persa nel mondo.

Valla a trovare una che abita dove abita lei.

Pagherei per vedere la sua casa, i suoi amici, i suoi animali e le sue passioni.

Le sorrido a mia volta e lei comincia a parlare con un tono di voce bellissimo, sembra una ninna nanna di vecchi tempi andati.

Le lingue parlate lungo la Transiberiana

 

“I’m not russian”

Esterno la frase che ho detto di più negli ultimi 20 giorni.

Lei non bada alle mie parole e ricomincia a parlare lentamente, come un treno che non deve andare da nessuna parte.

Italianski. Ienigvan Paruski

Altre parole che ricorrono frequentemente nel mio frasario degli ultimi tempi, un insieme di sillabe a cui, dopo vari aggiustamenti, riesco a dare un significato approssimativo.

Italiano. Non parlo russo.

Una lunga “o” di meraviglia della mia babuska. Apre la borsa di tela e mi porge un’arancia dilatando gli occhi, così buffi e minuti dietro quei fondi di bottiglia che mi andrebbe di abbracciarla. Quell’arancia è un regalo stupendo, ma non è buona, sembra di mangiare della segatura umida.

Ricomincia a parlare, piano piano, lentamente, come se lo scandire le parole potesse aiutarmi a capire.

Non sono scemo, semplicemente non capisco il russo. Mi andrebbe di fare questa battuta, se solo ci fosse qualcuno in giro per apprezzarla.

Io continuo a sorridere e a scuotere la testa. Poi prendo dalla mia borsa di plastica una mela e gliela porgo. Quasi si commuove, si porta entrambi i palmi alle guance e si apre in un’espressione di meraviglia. Sulla Transiberiana se non hai una lingua in comune, il cibo farà da vettore.

Transiberiana d’inverno e sarai in pace

 

transiberiana-zingaro di macondo

Una delle attività più piacevoli della Transiberiana è dormire cullati dal rumore dei binari. Zingaro di Macondo.

 

Addenta la mela e dice:

“mmmmmm”

I suoi occhietti vispi esprimono amicizia e profonda beatitudine.

Quanto poco ci vorrebbe per stare in pace.

La Transiberiana mi ha insegnato a fermarmi: con le sue lunghe ore monotone, totalmente isolata persino da Internet (a tutto il 2020 non c’è il wifi su nessuno dei treni), con il cervello che si placa alla vista di neve e abeti, abeti e neve, mi ha catapultato in una realtà a cui non ero abituato: non ho niente da fare. Devo dire che questo nuovo settaggio di me stesso mi piace.

Quando ci sono troppe cose si rischia di esplodere, con i pensieri a fare da miccia. La depressione, gli attacchi di panico, tutte quelle cose di una mente violentata, sono figli di un “troppo” di cui non abbiamo bisogno.

Ecco perché la Transiberiana è felicità nonostante tutto…

I treni che da Mosca vanno a Vladivostok sono calmi e tranquilli; tutto è pace e silenzio, anche se qualche bambino piange come piangerebbe a Milano o a Rio de Janeiro. Ma non ci faccio caso.

Transiberiana d’inverno e sarai strano

 

transiberiana zingaro di macondo

Il paesaggio che scorre dai finestrini della Transiberiana è monotono e meraviglioso. Zingaro di Macondo.

 

La mia babuska si alza e mi fa segno di aspettarla.

Dove vuoi che vada? Sarebbe un’altra battuta, se solo ci fosse qualcuno disposto a farmi sentire divertente.

Poi torna mangiando la sua mela accompagnata da una signora dalle fattezze meno siberiane; avrà sui settant’anni, capelli nerissimi e uno sguardo vivace, sveglio.

“Italianski”

Dice alla sua amica (o forse è una semplice passeggera). Credo che avesse bisogno di condividere quella cosa curiosa, quale sarei io, con qualcuno che potesse capirla. Mi indica con il dito a riprova di ciò che ha detto e mi invita a parlare per dimostrare che, davvero, non sono russo.

Sono qualcosa di curioso.

La signora dai capelli neri si avvicina guardandomi come si guarderebbe un innocuo marziano. Mi chiede con gli occhi che cosa diavolo ci faccio lì. Non ci sono turisti qui, in pieno inverno, su questi lunghi treni monotoni che vanno dal quasi nulla al silenzio assoluto.

E io sono una persona stranamente felice.

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