Dove sta andando il mito della spiritualità indiana?
La spiritualità indiana, da Pasolini a Madre Teresa di Calcutta.
Da Pasolini a Moravia, da La Pierre a Madre Teresa di Calcutta, da sempre l’India incarna il “mito della diversità“.
Il mito dell’india nel dopoguerra. Spiritualità indiana
Dopo la Seconda Guerra Mondiale gli Stati Uniti “timbrarono” mezza Europa attraverso il Piano Marshall.
Passati gli effetti della “sbornia” degli anni ’50, molti cominciarono a ricredersi sul fatto che lo stile di vita americano fosse solo ed esclusivamente ciò che era sembrato all’inizio: un ingranaggio inarrestabile di felicità e progresso.
Coloro che non si riconoscevano nemmeno nell’Unione Sovietica iniziarono a cercare una terza via. Una via che non fosse stata ancora battuta da nessuno.
L’India era una novità: il paese più popoloso dell’Asia era qualcosa di lontano, indecifrabile e quasi misterioso. I pochi che c’erano stati ne erano tornati entusiasti; la spiritualità era al centro della visione dell’uomo e nessuno parlava né di progresso materiale né di uguaglianza a tutti i costi.
Si cominciò a vagheggiare di “spiritualità indiana”, un concetto esotico e affascinante.
Pasolini e la spiritualità indiana
Pasolini scriverà L’odore dell’India, un libro che letto oggi può sembrare zeppo di stereotipi, ma che all’epoca ebbe il merito di far conoscere, per la prima volta in Italia, quel “terzo luogo”.
Il luogo di quell’anima che gli “americani” avevano soffocato nel loro mare di dollari. Mentre i “russi”, con il loro ferreo pragmatismo ideologico, ne avevano uno sociale, ma non individuale.
La mia prima volta in india. E le altre…
La prima volta che sono stato in India, nel 2006, ho attraversato il Nord del paese da est a ovest, da Calcutta a New Delhi, e ho trovato una realtà gigantesca immersa in una povertà senza fine.
Se dovessi descrivere l’India del Nord con una sola parola, la prima che mi verrebbe in mente sarebbe povertà.
Non mi verrebbe in mente nulla di legato allo spirito, nemmeno in senso lato.
Poi ci sono tornato altre volte: sono stato a Rishikesh, in Rajasthan e poi a sud, in Kerala e nel Tamil Nadu. E, infine, nel quasi pakistano Punjab su a nord.
Non posso dire di conoscere l’India in tutti i suoi aspetti.
Il paese è immenso, non solo geograficamente, ma soprattutto dal punto di vista culturale. Molte regioni non le ho nemmeno attraversate e di altre so solo quelle cose che ho letto in giro.
Ma ti posso dire che “le Indie” di Nuova Delhi o quella di Bombay, dove esiste il rischio di raggiro, dove l’inquinamento urbano e acustico sono devastanti, sono profondamente diverse da quella delle meravigliose piantagioni di tè del Kerala.

In nessun luogo dell’India, però, sono stato afferrato da quel senso di spiritualità, di profondo animismo e di “trascendente” di cui parlava Pasolini.
L’ho percepito solo di sfuggita, come un profumo subito sostituito da un odore intenso, vagamente respingente.
Il paese del Mahatma Gandhi rimane senza ombra di dubbio un paese “diverso”.
Ma bisogna riconoscere che tutta l’Asia è “diversa”. E l’India, secondo me, non è la punta assoluta di quel mondo esotico che forse abbiamo mitizzato oltre misura.
In generale gli indonesiani, i filippini, i cambogiani, per non parlare di birmani e laotiani, hanno un atteggiamento nei confronti della vita molto diverso rispetto a quello anglosassone ed europeo.
In India, soprattutto in quella caotica del nord, le cose purtroppo stanno un po’ cambiando.
Forse il turismo di massa ha cambiato le priorità e le predisposizioni del popolo indiano
Un popolo che, pur rimanendo fortemente ancorato alla propria visione del mondo, un mondo quasi fantastico, infarcito di divinità e ritualità, si sta velocemente conformando ai classici atteggiamenti di chi ha solo il denaro in testa.
Trovo che oggi come oggi l’India sia vagamente schizofrenica, come se non sapesse che direzione prendere.
Speriamo solo che prenda quella giusta.
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