La fine del mondo, anno 2102

La fine del mondo vista da un anziano con rammarico. Ma senza disperazione.

Gabriel Tibaldi

 

 

Sono nato il 19 aprile del 2022 e oggi compio 80 anni.

Mi sono regalato un pezzo di passato su questo ologramma. Cieli azzurri e alberi da frutto, cani a passeggio e gente che viaggia in un pianeta così bello da perderci la testa. L‘ologramma mi restituisce l’esatta realtà dei momenti in cui sono venuto al mondo.

Che bella giornata. Da poco era passata la Pasqua, l’aria era frizzante, piacevole e…respirabile.

Quando sono nato io si parlava di carestie e di guerre; tutte cose ad oggi ampiamente superate. Come sarebbe bello tornare alle carestie e alle guerre di cinquant’anni fa…

Le guerre si facevano con eserciti di giovani alimentati a pastasciutta e verdure e se morivano almeno avevano mangiato bene.

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Le guerre le facevano i potenti per i confini nazionali, invece oggi ci si ammazza con i bastoni per una verza radioattiva.

Punto di non ritorno

Il punto di non ritorno è arrivato attorno al 2040, quando avevo 18 anni. Poi sono arrivate le bombe atomiche che hanno completato il processo di inversione termica.

E allora l’uomo ha scientificamente dimostrato di essere l’animale più stupido del mondo: settanta milioni di morti in pochi secondi e i vivi che invidiarono i morti.

Oggi l’inverno dura undici mesi e fa talmente freddo che la gente muore assiderata, l’estate dura trenta giorni e ci sono ovunque quarantacinque gradi all’ombra.

Il 95% degli animali che esistevano si è estinto, i mari sono stagni abitati da rane gigantesche che si aggirano tra la melma che odora di uova marce.

In passato ho visto i delfini, le balene e gli squali, ma solo su questi ologrammi che restituiscono una vita senza corpo.

Ho visto spiagge bianchissime e alberi da cocco, sentito la riproduzione del vento fresco delle estati dolomitiche, goduto di finti tramonti non ancora chiusi dal grigio delle ceneri atomiche.

Ma non mi piace osservare il passato sugli ologrammi.

Ho smesso di guardare quelle cose nelle sale, mi rendono triste e vuoto. Ma Oggi ho fatto un’eccezione, perché è il mio compleanno e non c’è niente che mi possa regalare di diverso da questo.

Le prime a sparire sono state le api e le farfalle. Mio nonno, che era nato nel 1976, diceva che dove viveva lui i campi erano verdi e gli insetti volavano ovunque, ti si infilavano sotto la maglia e nel naso.

I topi esistono ancora, così come le blatte, grosse come mele che se ti mordono ti mandano all’ospedale. Le zanzare possono portare alla morte in poco tempo e viviamo coperti costantemente da uno strato di olio respingente.

Le guerre di una volta. La fine del mondo vista dal futuro

Non ci sono più le guerre di una volta, quelle fatte con le bombe atomiche e i razzi.

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Erano guerre pulite quelle, dove i civili morivano pochissimo e bastava un niente per farle finire.

Oggi le persone si uccidono con i sassi per abitare le zone di montagna, per un pezzo di terra, per i kiwi e per il grano. Queste non sono guerre, sono massacri per il cibo e per l’aria, per l’acqua e per la frustrazione, ingranaggi ormai impossibili da interrompere.

Com’erano belle le guerre di una volta.

Quando c’era la speranza che qualcuno si sedesse a un tavolo dicendo “adesso basta”.

In città ci vuole la maschera anche se ormai l’ossigeno non si sa più dove prenderlo.

L’Italia è un deserto interrotto solo dalle dolomiti. I pomodori, le zucchine, i camosci, i lupi, i cinghiali e le coccinelle esistono solo nei ricordi dei vecchissimi. Io, tutte queste cose, le ho viste, ma ero talmente piccolo che non le ricordo più.

Come sarebbe bello vivere, davvero, la realtà di quest’ologramma, di quel 19 aprile del 2022, quando ancora tutto era possibile.

 

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