Colpo di stato in Birmania. E adesso?
Il Colpo di stato in Birmania del 1 febbraio 2021
La Storia dell’umanità potrebbe essere riassunta come il continuo sopruso da parte di chi detiene le armi contro chi non le ha.
Anche nei sistemi democratici più avanzati il potere è legittimato dal controllo degli eserciti.
Il recente arresto della leader politica Aung San Suu Ky ha riportato la Birmania indietro di vent’anni, nel pieno di una delle dittature militari più anti storiche che esistano.
La semplice motivazione che i militari hanno addotto per arrestarla (porto abusivo di walkie talkie) è un’ovvia dimostrazione di forza fine a se stessa. Avrebbero anche potuto arrestarla per aver mangiato albicocche, l’importante era che il messaggio arrivasse ben chiaro: “facciamo quello che vogliamo e quando vogliamo“.
Il generale dell’esercito birmano, il sessantaquattrenne Min Aung Hlaing, il 1 febbraio scorso si è auto proclamato capo del governo birmano, dopo aver dichiarato alla nazione di aver arrestato la leader deocratica Aung San Suu Ky.
L’intervento delle forze dell’ordine è stato giustificato non solo per il porto abusivo di walkie talkie, ma anche perchè la donna non avrebbe indossato la mascherina.
Ora la Aung San Suu Ky rischia altri tre anni di carcere.
Il generale Min Aung Hlaing ha nominato presidente un fedelissimo dell’esercito, l’ex generale Myint Swe.
E il gioco è fatto.
Chi è Min Aung Hlaing. Colpo di stato in Birmania
Ma chi è Min Aung Hlaing, auto proclamatosi capo della Birmania?
In passato Min Aung Hlaing è stato accusato dall’Onu di tante belle cose: genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, tra le altre.
Nel 2018 ha dato il via ad una pulizia etnica in grande stile.
L’obiettivo era l’eliminazione fisica dei Rohingya, una delle minoranze etniche più sfortunate e incomprese al mondo. Centinaia di migliaia di persone sono fuggite dalle loro case in fiamme nei campi profughi del Bangladesh e della Malesia, altre sono state stuprate, altre ancora fatte a pezzi.
Nel silenzio totale dei mass media.
Le elezioni del 2020
Durante le elezioni del novembre del 2020 il LND (Lega Nazionale per la Democrazia), capeggiato dalla San Suu Ky, aveva riportato una schiacciante vittoria, aggiudicandosi ben 346 seggi sui 412 disponibili.
Fin dalle precedenti elezioni del 2015, la San Suu Ky aveva dato prova di “realismo politico”, deludendo molte delle aspettative che gli osservatori internazionali avevano riposto su di lei. Conscia del potere de facto dell’esercito birmano, la leader birmana ha fatto spesso buon viso a cattivo gioco, come quando ha minimizzato niente meno che le stragi dell’esercito ai danni dei Rohingya.
La Costituzione birmana è stata redatta dall’esercito stesso e dà ai militari il 25% dei seggi parlamentari indipendentemente dall’andamento delle elezioni. Questa percentuale è sufficiente per bloccare qualsiasi riforma costituzionale, rendendo palesemente zoppa la democrazia fin dalle sue fondamenta.
Inoltre la costituzione affida il cruciale ministero della Difesa ai militari a prescindere dallo svolgimento delle elezioni e dalle discussioni parlamentari.
Minoranze etniche. Colpo di stato in Birmania
Ai Rohingya, di fede musulmana, è stato addirittura negato il diritto di voto, in quanto il governo birmano non li ha mai riconosciuti come cittadini del loro paese.
Nemmeno sotto la guida della Aun San Suu Ky.
Il processo di democratizzazione birmano non è mai realmente decollato; l’esercito ha continuato a controllare la stampa e a incarcerare i giornalisti ritenuti troppo critici nei confronti del generale e della sua cricca, internet non ha mai smesso di essere censurato, mentre gli stupri di massa e gli eccidi nell’aerea Rohingya si sarebbero addirittura intensificati sotto il governo pseudo democratico della Aun San Suu Ky.
Insomma, la San Suu Ky avrebbe fatto un “po’ troppo” buon viso a cattivo gioco e molti hanno addirittura chiesto che venisse ritirato il suo Nobel per la pace vinto nel lontano 1991.
Sotto il governo del LND, l’esercito ha continuato a perseguire anche altre minoranze, come quella cristiana nel Nord del paese fuggito in massa oltre il confine cinese.
Perché il colpo di stato?
Aldilà delle considerazioni personali, i fatti dicono questo:
- l’esercito stava lentamente perdendo il potere acquisito negli anni
- l’esercito aveva drammaticamente perso le elezioni del novembre 2020
É probabile che la leader birmana volesse sottrarre la sedia sotto il sedere dell’esercito senza strappi, senza la presunzione di rendere immediatamente democratico un paese che non lo era mai stato.
Il generale Min Aung Hlaing andava ripetendo che le elezioni di novembre erano state truccate e il 1 febbraio ha dato seguito alle minacce di ristabilire l’ordine; l’esercito ha occupato il Parlamento e ha preso tutti i poteri, arrestando la Aun Suu Ky.
Una Aun Suu Ky che, mentre a livello internazionale stava perdendo credibilità, in patria aveva riscosso fin troppo successo.
Sono state sospese le trasmissioni televisive statali, tagliate le linee telefoniche, chiuse le banche ed è stato dichiarato lo stato di emergenza nazionale per un intero anno. Il che significa che i militari sarebbero pronti a restituire il potere quando l’emergenza sarà terminata.
Nessuno, ovviamente, crede alle fandonie di questi ciarlatani, anche perché non esiste nessuno stato di emergenza che debba presumere l’intervento dell’esercito.
Tutto, te lo ricordo, per un presunto, fantomatico walkie talkie.
Cosa farà il mondo?
Ma com’è possibile che capiti tutto questo senza che il resto del mondo, fatte salve prese di posizione formali e inconcludenti, faccia qualcosa?
La Birmania è un paese poverissimo e complicatissimo, costituito da decine e decine di minoranze etniche che da sempre si fanno guerra le une con le altre e non hanno mai dialogato con lo stato centrale.
Non è un paese abituato alla democrazia: prima sotto i britannici, poi sotto i giapponesi, nel 1962 la Birmania ha subito un colpo di stato militare che, come abbiamo visto, non è ancora finito.
Il colpo di stato del 1962 fu accettato di buon grado dalla comunità internazionale e persino dalla maggioranza dei cittadini birmani, in quanto le numerose guerre etniche che incendiavano il paese non interessavano minimamente allo stato birmano.
Uno stato fantoccio sotto il diretto comando dell’Impero giapponese.
La promessa dell’esercito, che instaurò da subito un governo finto-socialista per non inimicarsi la vicina Unione Sovietica, era quella di fare da collante tra i vari gruppi etnici.
Biden ha dichiarato che gli Stati Uniti non rimarranno alla finestra, anche se non ha esplicitato i termini di un eventuale intervento.
Decisamente improbabile un intervento armato per “esportare la democrazia”, perché, ti dirò un segreto, in Birmania non c’è petrolio e ci sono buone probabilità che gli slanci umanitari dell’America a stelle e strisce vengano ridimensionati da questa mancanza.
La Birmania è un paese magnifico, unico al mondo per tanti motivi, e la grande paura è che la notte, in quella regione, non abbia mai fine.
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