I soldi non fanno la felicità…o forse sì?
I soldi fanno la felicità?
Non c’è dubbio che la nostra società sia incentrata sul denaro.
E non c’è dubbio, almeno per quanto mi riguarda, che questa sia una vera e propria maledizione.
Solitamente si conclude la discussione, senza nemmeno iniziarla, dicendo che i soldi non fanno la felicità.
Ma personalmente non mi è ancora capitato di vedere un milionario rinunciare alle proprie fortune economiche per stare meglio. Mai come in questo caso alla retorica non seguono i fatti.
Secondo il mio punto di vista il denaro non è la felicità, nel senso che non è con i soldi che si misura il benessere di un individuo, ma purtroppo può farla, nel senso che può aiutare a costruirla.
Il punto cruciale in termini dialettici risiede nell’avverbio purtroppo.
La felicità è dentro di noi?
Il Dalai Lama, e con lui l’intera psicologia occidentale, sostiene che pensiero e stato d’animo siano direttamente correlati.
La felicità è dentro di noi e non dipende in alcun modo da fattori esterni.
Filosoficamente parlando sono più che d’accordo, il problema è che abbiamo delegato al denaro persino l’utilizzo razionale della ragione.
Per questo non troviamo più la felicità che era dentro di noi.
Il denaro può comprare la felicità? I soldi fanno la felicità?
Molte delle azioni che compiano, di conseguenza molti dei pensieri che pensiamo, sono vincolati al risultato finale in termini di profitto.
Togliendo le azioni e i pensieri legati all’amore e alla salute, cosa rimane nel fondo della nostra mente?
Se penso che domani mi devo svegliare presto, è perché probabilmente devo andare al lavoro (per guadagnare soldi).
Se invece mi devo alzare presto perché magari voglio andare al mare, a monte il pensiero prevede che io abbia il denaro sufficiente per pagarmi il treno per andare a godermi la giornata di sole.
Ma se, ancora, sono così fortunato da abitare in riva al mare, se posso sdraiarmi in spiaggia in modo del tutto gratuito, a monte deve esserci una condizione essenziale: il giorno dopo devo essere “libero”. Il che presume che certi giorni io non sia libero affatto, più o meno vincolato da esigenze lavorative e, dunque, di guadagnare denaro.
Anche coloro che hanno una professione che amano, se non ne avessero un ritorno in termini economici dovrebbero cambiare strada.
E magari rinunciare alle proprie passioni o relegarle al “tempo libero”, un’espressione che la dice lunga sulle nostre condizioni di vita.
Sono convinto che molte catene spirituali derivino da una mancanza di tempo dovuta al fatto che bisogna lavorare e fare, spesso, i lavori più ingrati che esistano per tirare avanti.
D’altronde…“è un lavoro sporco ma qualcuno lo deve pur fare”.
I sommozzatori che vanno a spurgare le fogne delle megalopoli sono indispensabili e se tutti cercassimo di fare il lavoro perfetto, di certo nessuno andrebbe a fare quello.
C’è un solo modo per liberarsi dalle catene del denaro.
Averne in quantità sufficiente da non doverci più pensare.
Un paradosso davvero terribile.
I guru della felicità
I guru della felicità, coloro che dicono che il denaro non fa la felicità, che si siedono a gambe incrociate scimmiottando culture che spesso non capiscono e che esprimono i loro concetti sui social, lo fanno per visibilità. E se vogliono visibilità il fine ultimo è sempre quello: soldi.
Se il concetto di moda fosse che le lucertole fanno la felicità, direbbero esattamente quello.
Non sto dicendo che siano tutti finti e che tutti esprimano concetti ai quali non credono, quello che sto dicendo è ancora peggio: la nostra mente è predisposta a farci ragionare in termini di profitto generale.
E oggi “profitto in termini generale” fa rima con soldi.
Se il concetto che “i soldi non danno la felicità” non facesse fare soldi, i guru della felicità cambierebbero, concretamente e consciamente, idea e modo di vedere la vita.
Siamo schiavi del denaro? I soldi fanno la felicità?
Le cose sono molto complesse: non solo i soldi guidano le nostre azioni, ma persino i nostri pensieri.
Se siamo arrivati a questo punto significa che, come diceva il compianto Paolo Villaggio:
Forse abbiamo preso una direzione che non va bene.
Abbiamo delegato le nostre vite al denaro e spesso non ne siamo nemmeno più consapevoli. Ci rifugiamo in retoriche che ci danno la gratificante sensazione di essere fuori dalla logica assurda dello “sterco del demonio”, che ci fanno presumere di essere “meglio degli altri”.
In questo momento io stesso sto scrivendo quest’articolo invece di andarmene a spasso con il mio cane, cosa che adesso come adesso vorrei fare più di ogni altra cosa.
Certamente nutro una passione smisurata per il mio lavoro, davvero non vorrei fare altro, quello che voglio dire è che i soldi manipolano le nostre esistenze, quelle di tutti, anche di coloro che si affannano a dire il contrario.
Con i soldi si comprano i viaggi, con i soldi si compra il tempo libero che altrimenti servirebbe per fare soldi, con i soldi ho comprato questo pc che mi dà la gioia di scriverti, con i soldi ho guarito il mio cane dal cancro che aveva.
Siamo finiti in un ingranaggio più grande di noi, un vortice capitalistico senza via di uscita. Per lo meno, personalmente, non ne vedo in tempi brevi.
Allora, non ci resta che vivere per fare soldi?
No di certo.
Ma la corda è corta e dire che “i soldi non fanno la felicità” è un modo di mettere la testa sotto la sabbia e di uscirsene senza troppi sforzi tra gli applausi.
I soldi non sono la felicità, nel senso che non la rappresentano.
Ma i soldi costruiscono la felicità, perché tutto è in vendita (tralasciando amore e salute): sulle bancarelle del triste ingranaggio nel quale siamo finiti si pagano i tramonti, il cibo, le emozioni e i desideri.
Il denaro si è mangiato la nostra felicità e adesso è lui che comanda, persino la nostra mente.
E io ne soffro, ne soffro terribilmente, perché credo che siamo nati per pensare, ascoltarci e tentare di comprendere le cose, non per fare lavori che non gratificherebbero nemmeno una mosca o per pensare cose che non penseremmo se fossimo davvero liberi.
Secondo il mio punto di vista l’unico modo di uscirne è rivoluzionare dalle fondamenta la nostra società. Dire che i soldi non fanno la felicità non è una soluzione, è uno slogan.
Tra un secolo, ne sono convinto, guarderemo indietro, alle nostre vite di oggi, con incredulità.
Come è sempre stato d’altronde: oggi strabuzziamo gli occhi ascoltando i racconti dei nostri nonni come loro facevano nei confronti della società del diciannovesimo secolo.
Da sempre l’uomo si convince che l’unico sistema di vita corretto sia quello nel quale lui è inserito.
Perché è consolatorio pensarla così, è consolatorio credere che siamo arrivati ad uno stadio di civiltà e di “correttezza” accettabili.
Per cambiare davvero le cose, dovremmo anzitutto smettere di dire che i soldi non fanno la felicità, piuttosto prendere coscienza dello stato attuale delle cose e iniziare a fare cose utopiche, completare subito processi storici che invece saranno probabilmente piuttosto lunghi, cioè tagliare quei fili che portano energia alla logica del lavoro salariato e imprenditoriale, affidarci alla tecnologia e alla scienza, che simbioticamente possono fare il 90% di ciò che continuiamo a fare come stupide marionette per ingrassare i giganti del mondo affamati di potere in modo ossessivo e compulsivo.
Allo stato attuale i soldi fanno la felicità. Ed è questa la cosa drammatica.
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