Perché viaggiamo?
A cosa serve viaggiare?
É da qualche giorno che cerco una risposta a questa domanda all’apparenza semplice.
Alla fine ho deciso di cercare qualche spunto in rete, ma nessuno di questi ha acceso una miccia per un pensiero che sentissi davvero mio.
Credo che questa sia la classica domanda che finisce per ottenere risposte auto celebrative. Risposte rassicuranti che nascondono quelle obiettive all’interno di un involucro che fa sentire noi viaggiatori così speciali.
Si viaggia per essere migliori, si viaggia per conoscere, si viaggia per trovare se stessi nel mondo e il mondo in se stessi, si viaggia per capire…
E immancabilmente si finisce per descrivere i difetti di chi non viaggia al fine di esaltare la propria posizione di presunto prestigio: chi non viaggia non può, non vede, non sa…
Come se il viaggiatore avesse accesso ad una conoscenza superiore negata a chi ha optato per la stanzialità.
A cosa serve viaggiare? E…perché leggiamo?
Trovo che lo stesso percorso mentale avvenga quando parliamo di libri.
Se leggi sei migliore, se leggi capisci, se leggi significa che sei “intelligente”, mentre al contrario chi non legge non può, non vede, non sa…
Leggere e viaggiare? Una scocciatura!
In realtà il “movimento” prima e la lettura poi, erano fino a poco tempo fa quasi degli ostacoli sociali.

A cosa serve viaggiare – Zingaro di Macondo –
In epoche passate l’uomo ha fatto di tutto per smettere di muoversi, per fermarsi in un luogo e in quello soltanto. Spostarsi era un’esigenza legata all’agricoltura ed era una scocciatura non da poco.
Si “bruciava” un terreno, poi si passava al successivo; e durante il viaggio di certo non si aveva il tempo per godere di tramonti o per le albe.
La spiritualità legata al paesaggio e alla bellezza sono “invenzioni” moderne; fino ad oggi non abbiamo avuto tempo per spirito ed estetica, due concetti rimasti chiusi negli uffici polverosi di poeti e filosofi fino al secolo scorso.
A cosa serve leggere?
Nel diciannovesimo secolo, in una società ancora profondamente maschilista, leggere era una cosa da “donne”.
Gli uomini che lavoravano nei campi non avevano “tempo da perdere”.
Le donne, quelle “frivole”, quelle che invece potevano dilapidare le ore del giorno, spesso leggevano.
Credo che possiamo paragonare il modo di percepire i libri nel diciannovesimo secolo, a quello che abbiamo oggi di rapportarci alla televisione.
Chissà che nel prossimo futuro il libro, abbandonato da altri mezzi informativi più elitari, non ritorni ad essere percepito come un medium frivolo e inutile.
A cosa serve viaggiare? Attenzione alle mode intrappolate
Ci sono mode intrappolate nei tempi che sono difficili da interpretare per chi, quei tempi, li vive in prima persona.
L’uomo ha sempre avuto difficoltà a capire le usanze di chi lo ha preceduto.
Il viaggio e la letteratura sono dei “must” che fino ad un secolo fa non erano ritenuti tali, viceversa se oggi qualcuno dicesse che viaggiare e leggere sono una perdita di tempo verrebbe preso per una sorta di egocentrico.
Fino all’inizio del secolo scorso quasi nessuno aveva a disposizione i mezzi finanziari per fare grandi viaggi e, d’altronde, nessuno si faceva cruccio del fatto che non avrebbe mai visto nulla a parte l’orizzonte dei propri campi.
La domanda è: l’uomo che oggi non viaggia e non legge si perde l’opportunità di conoscere la “vera realtà”?
Potrei concludere l’articolo dicendoti che leggere e viaggiare è roba da intelligenti, da uomini complessi e raffinati, come fanno più o meno tutti assecondando le mode del momento.
Ma in realtà non ho risposte assolute.
Quello che so è che personalmente non posso fare a meno di libri e di viaggi, non posso fare a meno della parola scritta e di quelle amicizie nate sulla strada, nella magia dei treni o tra le stanze di ostelli che sembrano delle meravigliose Babilonie.
Ho bisogno di tutto questo.
Ne ho un bisogno viscerale e assoluto.
Ho bisogno di rufolare tra le pieghe della strada, di sentirmi incomodo, incompreso, fuori dalla comunità e fuori contesto.
Ho bisogno di dormire male come dorme male la gente del luogo, di mangiare i cibi che le persone mangiano, con i loro modi, con i loro germi, con i loro batteri.
Di stare zitto e di ascoltare le nuove storie in una qualsiasi fine del mondo.
Di soffrire la mancanza del ritorno e di adagiarmi nel nuovo così tanto da dover ripartire immediatamente.
Voglio essere fuori posto, non voglio etichette e non voglio religioni, orazioni, aforismi, non ho bisogno di culture preconfezionate, voglio sentire l’odore e il dolore del mondo scottarmi la pelle dell’anima.

A cosa serve viaggiare? – Zingaro di Macondo –
La mia è una vera e propria mania, una dipendenza che non so se porterà frutti buoni o cattivi. Quello che so è che non posso farne a meno.
Ma non mi sento in alcun modo “migliore” rispetto a chi non viaggia e, soprattutto, non ho la minima idea del significato profondo del verbo “viaggiare”.
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